Oggi vi parlo di Barbie, un argomento che ci riporta all’infanzia e che apre molti scenari, emozionali ma non solo; una bambola conosciuta in tutto il mondo che ha fatto sognare, e fa ancora sognare, molte bambine.
Osservare la storia di Barbie, consente di guardare anche all’approccio che si può avere alle buyer personas, ai potenziali clienti, e nello specifico quello che ha avuto Mattel.
Un’azienda che ha colto una specifica esigenza del proprio cliente target – le bambine di tutto il mondo – ossia riconoscersi nella propria compagna di giochi.
Identificare e assecondare questo bisogno e desiderio è stato determinante per mettere sul mercato un prodotto che può fare scuola per quanto riguarda il marketing inclusivo.
Prima di passare agli aspetti inerenti alle Buyer Personas, vi do giusto due cenni storici sul personaggio.
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Barbie nasce il 9 marzo del 1959 da un’idea di Ruth Handler, che si accorge di come la figlia – Barbara – abbia la tendenza a dare ruoli da adulto alle sue bambole di carta.
Da qui l’intuizione – insight – condivisa con il marito Elliott co-fondatore della Mattel: dare vita a una linea di bambole che rompesse con quelle esistenti fino a quel momento, raffiguranti solo neonati.
La prima Barbie viene messa in commercio in versione sia bionda sia bruna, con un costume da bagno intero zebrato (che rimarrà nella storia come uno dei look più iconici della bambola), e da quel momento in poi seguiranno migliaia di declinazioni nelle mise più disparate oltre ad essere sviluppati e commercializzati anche gli altri “familiari”: Ken, il fidanzato storico; le sorelle Skipper, Stacie, Shelly, Krissy e Chelsea; la cugina inglese Francie; l’amica del cuore Midge e tutta una serie di altri amici e amiche di diverse nazionalità.
Alla nascita, Barbie è tutto ciò che ogni bambina sogna di essere: capelli biondi lunghi e setosi, fisico da cover girl e capace di fare qualsiasi cosa.
È già questo il primo segnale di voler far immedesimare le bambine nella loro icona, che riflette i loro sogni di proiezione futura nel mondo degli adulti, in risposta alla tipica domanda: “che cosa vuoi fare da grande?”
Sono infatti moltissimi i lavori nei quali è raffigurata, dalla hostess all’astronauta, passando per il medico o la top model.
Barbie, con la sua immagine di bellezza, è stata il modello di perfezione ideale che ha influenzato notevolmente la cultura di massa, arrivando nella vita vera a portare molte donne – ma anche uomini, ricordiamoci di Ken – a ricorrere alla chirurgia estetica per incarnare totalmente le fattezze della bambola.
A un certo punto, però, succede qualcosa.
Sugli scaffali dei negozi, progressivamente, le Barbie cominciano a cambiare aspetto: meno cover girl e più real woman.
Ecco che la bambola dai capelli biondi lunghi e setosi lascia spazio a “colleghe” curvy, con la pelle scura, con i capelli bruni, ma anche sulla sedia a rotelle, con protesi alle gambe, addirittura calve o con la vitiligine.
Ancora una volta, la Mattel è avanguardistica e lungimirante.
fonte: barbie.mattel.com
La scelta della Mattel di dare spazio a diverse fisicità e caratteristiche ha fatto molto discutere, tra chi ha sostenuto che il modello di perfezione proposto fosse un’opportunità, per le bambine, di dare sempre il meglio di sé stesse per aspirare al massimo nella vita e chi, invece, ha sostenuto come un cambio di passo fosse necessario per spiegare che, invece, ci sono mille sfaccettature diverse e la perfezione non è una sola.
Sicuramente con l’ampio ventaglio di Barbie proposte, la Mattel ha allargato il proprio discorso.
Ha dato al suo prodotto la forma e l’espressione di chi lo andrà ad acquistare, permettendo praticamente a tutte le persone di riconoscersi, di sentirsi rappresentate. Questo ha portato i potenziali clienti ad immedesimarsi e l’azienda ad entrare in una forte empatia con loro: un esempio molto ben riuscito di marketing inclusivo.
Il grande merito della Mattel è quello di aver indagato e riconosciuto queste differenze tra le persone, cogliendo dal mercato l’esigenza – magari inconscia – di un cambiamento di passo che ha poi messo in pratica realizzando prodotti che, ancora una volta, hanno fatto scuola.
Tutte queste bambole rappresentano delle persone, rappresentano delle buyer personas.
Nel caso preso in esame va specificato che parliamo di profili di buyer personas, perché si tratta di una impostazione incentrata su caratteristiche fisiche e non su una rappresentazione dell’Insight.
Una frammentazione così forte delle buyer personas di fatto contrasta un po’ con il mio metodo, secondo cui andrebbe identificata la buyer personas primaria, poi le secondarie e poi andare a lavorare sul core dei clienti.
Devo però anche ricordare come questo concetto valga molto per il B2B e per alcuni B2C, o per aziende medio/piccole che non hanno la forza economica e di struttura per assecondare le esigenze di una vasta platea di clienti, per cui si fa necessaria l’esigenza di accorpare e di andare sul core del proprio mercato.
Nel caso specifico, Mattel è evidente che ha colto nel segno, frammentando al massimo e rappresentando nel dettaglio le buyer personas di Barbie, scandagliando il mercato e gli acquirenti da raggiungere dal punto di vista del profilo, giacché ci riferiamo a fattori estetici.
Altre aziende potrebbero trarre ispirazione da questo modello?
Sicuramente sì, indagando il più possibile le esigenze delle persone e creando un legame empatico che sia forte, ma andando poi a valutare caso per caso, azienda per azienda, se un approccio del genere può essere opportuno o meno.
L’obiettivo è sempre quello: che il cliente si senta centrale, compreso e che grazie al nostro modo di relazionarci con lui, sia orientato all’acquisto.
👉 Ascolta la nota vocale sul canale Telegram di Buyer Personas , ci sono ulteriori considerazioni sull’argomento!
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