Indice dei contenuti
È una domanda che si fanno molte startup che vogliono partire con il piede giusto, ma che non sanno da che parte incominciare.
Chi ha un’azienda avviata, il professionista che è già sul mercato ha dei punti di riferimento che consentono di iniziare un progetto di sviluppo delle buyer personas, ossia di maggiore e approfondita conoscenza dei propri clienti target.
Chi invece si sta approcciando al mercato per la prima volta, può trovarsi spaesato e in difficoltà, vediamo quindi di dare qualche suggerimento per risolvere questo problema.
Per creare le buyer personas non è sufficiente immaginare quali siano i clienti target, dare loro un’età, un sesso e poche altre informazioni di tipo socio demografico; serve molto di più, serve capire il perché dei loro comportamenti e delle loro decisioni, motivo per cui l’immaginazione non ci è utile.
Dobbiamo per forza arrivare alle persone e parlare con loro, quantomeno sottoporre loro dei questionari, ma meglio se riusciamo a intervistarle.
In genere per farlo si inizia dai clienti acquisiti e poi si vanno a cercare quelle persone che clienti non sono ancora diventate, ma come fare se siamo solo agli inizi e di clienti non ne abbiamo ancora?
Sicuramente dovremo affrontare qualche difficoltà in più, ma la buona notizia è che si può fare.
Vediamo 3 soluzioni possibili
L’idea di una startup ha sempre una storia e in genere nasce dalla percezione che ci sia un problema da risolvere, un bisogno da appagare, un desiderio che nessuno asseconda, un “buco” nel mercato oppure una tendenza forte da cavalcare.
Il primo passo per creare le buyer personas è fare un bel lavoro con il team della startup andando a sviscerare nel profondo il perché di quell’idea.
Quest’attività di interiorizzazione, in genere riporta alla luce ricordi, storie di persone incontrate, di discorsi fatti, di sensazioni, di episodi significativi dai quali trarre informazioni utili.
Molti dei dati quantitativi sul mercato, raccolti in fase di stesura del business plan, possono venire discussi andando ad esaminare il lato qualitativo dell’analisi fatta in precedenza.
E poi ci sono le persone che hanno gravitato – e gravitano – attorno alla startup; esse sono in grado di fornire informazioni utili, se stimolate a dovere e se indirizzate verso l’esternalizzazione di specifici elementi utili alla creazione delle buyer personas.
Raccogliere tutti i perché necessari a comprendere cosa ha portato alla convinzione che la startup avrebbe avuto le carte giuste per avere successo è un primo passaggio molto utile.
Le startup nascono in genere con il proposito di distinguersi sul mercato, di essere diverse, di avere qualcosa in più.
Può trattarsi di una soluzione molto simile a quelle presenti sul mercato, ma con funzionalità o caratteristiche diverse, oppure può essere fortemente alternativa a ciò che è già esistente.
In sostanza, quest’ultima tipologia di startup, offre qualcosa di diverso rispetto alla soluzione di un problema o alla soddisfazione di un bisogno/desiderio che fino a quel momento venivano appagati da prodotti o servizi diversi.
Facciamo un esempio emblematico.
Quando nasce iTunes, cui segue iPod, viene stravolto il concetto di ascolto della musica che, anziché passare attraverso dei supporti come le cassette o i CD, convoglia tutti i brani in una libreria potenzialmente infinta e variegata.
Il bisogno/desiderio di ascoltare la musica viene appagato così come accadeva prima, ma con modalità fortemente innovative.
Lo stesso vale per Netflix che ha introdotto un’innovazione disruptive nella visione dei film che dal noleggio Blockbuster porta a ciò che per noi oggi è normale, ossia l’abbonamento e la visione in streaming, ma che un tempo non esisteva.
Ebbene, creare le buyer personas quando si vuole proporre una novità che soddisfa bisogni già appagati, si può fare intervistando oppure sottoponendo dei questionari – nonostante i limiti di cui ho parlato spesso – con persone che già hanno acquistato le soluzioni “old style” per capire come accoglierebbero l’innovazione proposta dalla startup.
La terza opzione, più costosa ma certamente più agevole per quanto riguarda lo sforzo nell’identificare e contattare le persone da intervistare, sono i reperitori.
Queste agenzie, attraverso il database di contatti di cui sono dotate, ci possono mettere in contatto con persone che hanno specifiche caratteristiche per aspetti socio demografici – età, sesso, capacità economica, area geografica – e per ciò che hanno acquistato recentemente, ad esempio una soluzione affine a quella proposta dalla startup.
Anche in questo caso l’obiettivo sarà avare dei dialoghi approfonditi con le persone per capire alcuni aspetti, ad esempio:
Queste sono solo delle idee di quesiti che si potrebbero porre e il formato dialogo in modalità racconto sicuramente sarebbe la soluzione migliore per raccogliere degli insight utili.
I reperitori possono anche fornire un numero elevato di persone cui sottoporre dei questionari, quindi l’opzione intervista può essere integrata – o eventualmente sostituita – con questa modalità di raccolta informazioni.
Seppur si incontrino delle difficoltà, è bene che le startup studino le buyer personas per avere maggiori possibilità di successo e per evitare drammatici abbagli.
Spesso esse intravedono nel mercato l’opportunità di ritagliarsi uno spazio e di crescere, ma non sempre ciò accade, per questo capire come le persone reagirebbero alla soluzione che esse intendono portare è determinante.
Se il feedback è positivo, le buyer personas possono indicare una strada migliore per proporsi sul mercato e se invece il feedback è negativo, la startup avrà ancora il tempo di fare marcia indietro per evitare danni economici irreparabili.
Summary